ACCADEMIA MUSICALE DI ERBA UNA PRIMA ASSOLUTA E DIVERSA
di Paolo Viola
Erba è una cittadina di 17.000 abitanti, bagnata dal Lambro appena nato, a mezza strada fra Como e Lecco, su quella antica via pedemontana che da Varese porta a Bergamo, stesa ai piedi di quel gruppetto di monti prealpini chiamato “Triangolo Lariano”. Fabbriche e fabbrichette, un cementificio, l’aspetto tipicamente brianzolo, Erba ha anche una storia di curiose eccellenze e fra queste vorremmo raccontarvene una cui abbiamo già accennato qualche tempo fa.
È la storia che ruota intorno a Stefan Coles, un grande violinista rocambolescamente scappato durante una tournèe in Italia dalla nativa Bucarest in piena epoca comunista e che, dopo una fulminante carriera da professore d’orchestra e primo violino, svoltasi a Torino e a Palermo, nel 1991 approda nella cittadina brianzola e vi fonda l’Accademia Europea di Musica – di cui è tutt’ora il Direttore – riuscendo anche, fra mille difficoltà economiche, a realizzare ogni anno un Festival Musicale di grande qualità giunto ora alla dodicesima edizione.
Con il suo personale carisma Coles attira all’Accademia di Erba allievi da tutta Italia e soprattutto docenti di grande spessore – come Vovka Ashkenazy, Vsevolod Dvorkin, Chiharu Aizawa, Dancila Mihai, per citare solo quelli che vengono da più lontano, ma sono più di venti – che insegnano i principali strumenti e anche canto, coro, direzione d’orchestra, storia della musica, ecc. costituendo un piccolo (ma non troppo) vero e proprio Conservatorio di musica con la sede nel suggestivo castello medievale di Pomerio, a sua volta immerso in un parco secolare che dai primi rilievi alpini domina la pianura e le sue morbide ondulazioni.
Noi siamo tornati ad Erba per assistere alle ultime serate del Festival 2013 da poco conclusosi, e ci siamo trovati di fronte a sorprese di non poco conto. Il primo dei due concerti, affidato ai migliori allievi dell’Accademia, ha rivelato fra gli altri un giovane violinista del quale è facile prevedere una grande carriera: è allievo di Coles, si chiama Giacomo Mura e, accompagnato al pianoforte da Vsevolod Dvorkin, ha eseguito con straordinaria sensibilità e con grande capacità di analisi la “Sonata in la maggiore” per violino e pianoforte – la numero 2 opera 100 – di Brahms. Un ragazzo molto dotato che bisogna tenere sott’occhio e al quale auguriamo di essere presto “scoperto” ed invitato a suonare in giro per il mondo.
La grande sorpresa è arrivata con la serata conclusiva del Festival, lo scorso 15 novembre, e cioè con il duo Coles-Park che ha eseguito un programma molto intrigante “Dal Barocco al Jazz” di musiche per violino e pianoforte (molto cool vedere due importanti concertisti, un violinista rumeno e un pianista sudcoreano perfettamente affiatati, suonare insieme sulle rive del Lambro!): nel primo tempo hanno eseguito le Sonate numero 1 di Bach e numero 8 di Beethoven, nel secondo la Liebesfreud di Kreisler/Rachmaninoff, alcuni pezzi per pianoforte solo dello stesso pianista e compositore coreano Chong Park (fra cui un bell’arrangiamento di “Les feuilles mortes” di Kosma) e, ancora per duo, una poco nota ma assai bella Sonata di Keith Jarret. Ma fra il primo ed il secondo tempo è stata incastonata, come gentile omaggio alla musica italiana, la vera e sorprendente novità della serata e della stagione: la “Sonata per violino e pianoforte” in la minore di Luca Silipo in prima esecuzione assoluta.
Luca Silipo è un economista e un compositore, nato a Roma nel 1968 e vissuto a Londra, New York, Parigi ed ora a Hong Kong dove sta per essere eseguita, sempre in prima assoluta, un’altra sua opera, la “Histoire de Babar” per voce recitante e orchestra; di lui quattro anni fa in questa rubrica avevamo raccontato come avesse fondato in Cina “Music for the Growing Mind“, un programma simile al “Sistema” venezuelano di Abreu per organizzare scuole gratuite di musica e formare orchestre con ragazzi privi di altra formazione scolastica. La settimana prossima sarà la prima di queste orchestre ad eseguire la sua Histoire de Babar.
Ebbene la Sonata per violino e pianoforte ascoltata qualche sera fa, scritta pochi anni or sono in una prima versione per flauto e pianoforte, è stata una vera e propria rivelazione: tutti sappiamo quante difficoltà pone all’ascolto la musica contemporanea, quasi sempre composta da inestricabili grovigli di suoni di cui si stenta a comprendere l’organizzazione e il nesso (anche quando, ma non sempre, vi sono), che non si lasciano catturare dal nostro orecchio se non per vaghe ed ostiche “atmosfere sonore” e che, per ben che vada, ci prendono giusto nel tempo della loro emissione per scomparire subito dopo senza lasciare tracce né possibile memoria.
La musica di Silipo, invece, pur costruita su melodie e armonie nuove, alle quali si può tutt’al più attribuire qualche vaga reminiscenza (forse mozartiana, chissà, ma nei limiti del tributo che ogni opera deve a quelle che la hanno preceduta), è risultata talmente piacevole e godibile che il pubblico non solo ha potuto ricordarne i temi, ma alla fine del concerto li canticchiava sommessamente, come per ritrovarli e per memorizzarli. Dissonanze, modulazioni, complesse risoluzioni armoniche, tutto scorreva gradevolmente in ritmi di danze nuove e antiche insieme; esattamente come nei nuovi edifici, anche i più rivoluzionari e innovativi, in cui si ritrovano tracce di finestre, terrazze, tetti, di quegli elementi cioè che ci riportano alla storia della architettura. E come d’altronde avviene nelle opere letterarie in cui, per quanto nuovi e stravolgenti possano essere i contenuti, la sintassi e la grammatica vengono rispettate sicché tutti possano leggerle e comprenderne il significato.
Insomma un respiro ed un passo che ci hanno riconciliato con la musica contemporanea e dato la speranza che la musica “colta” torni ad essere un piacere per tutti, come lo è stata fino a qualche decennio fa, quando la Scuola di Darmstadt mise al bando e alla gogna il sistema tonale e cominciò la corsa frenetica alla ricerca di nuovi linguaggi; ma non sono nuovi linguaggi, quelli di cui abbiamo bisogno, ma nuove idee musicali, cose nuove da dire e soprattutto saperle dire con un linguaggio comprensibile a tutti.